La mela d’oro

La mela d'oro

“Ti darò in sposa la donna più bella”.
E Paride scelse Venere. Scelse Venere come donna a cui donare la mela d’oro della discordia. Scelse Venere e si innamorò di Elena, meravigliosa creatura, non sua.
SLANG.
Sbatto la portiera della macchina.
Paride l’avrebbe fatto lo stesso se avesse saputo cosa sarebbe accaduto poi?
Zeus lo voleva in fondo. Perchè poi da quell’unione sarebbe nata la guerra. Rimise nelle finte mani del caso qualcosa di già destinato. Amore e guerra… Vanno sempre assurdamente insieme.
“Tutto bene?”
Guardo il telefono. Avrei voluto spegnerlo stamattina.
“Si, più o meno. Sto partendo ora… Tu credi che Paride abbia fatto bene?”
“Chi è Paride?”.
“Paride, Elena, Troia…”
“Ah, quel Paride. Non so. Da uomo ti direi che non ne valeva la pena. Forse. Ma, potrei sbagliarmi. Magari se anche io avessi conosciuto una Elena…”
“Mai conosciuto una Elena?”
“Si, ma…”
“Ma?”
“Diciamo che non sono un Paride”.
“Ecco. Così regge”.
“Contenta?”
“Più o meno. E’ la classica risposta che ci si aspetta da un fratello”.
“Vai piano”.
“Anche questa frase”.
“Avviso mamma?”
Comincio a pentirmi di non aver spento il telefono.
“Andrò piano”.
Andrò piano. Andrò piano per deviare. Ci sono tragitti da non percorrere dritti fino in fondo e stamattina ho bisogno di farlo.
“Non mi aspettate per pranzo. Farò tardi”.
Ho bisogno del mio mare.
Digito. Ascolto. Messaggio: il telefono della persona… Scampato. Non ho voglia di parlare oltre. Metto lo stereo a tutto volume. Il piede preme sull’accelleratore, come le tue mani un giorno sul mio viso.
Paride avrà disegnato i contorni del viso di Elena con le sue dita tante volte.
I “ragazzi” sono già lì, le mie perle d’oro nate senza l’anello d’oro, senza fede, senza unione consacrata. Hanno la fragranza dolce di una mela di autunno e portano negli occhi il colore del sole.
Le sue labbra sanno di canditi, ma non ne ricordo più il sapore.
Lui avrà mai visto il sole nei miei occhi qualche volta?
Sei bellissima dentro e fuori. Come una mela d’oro? Sorrido. Non so se tutto appartiene al ricordo o alla sola fantasia. Non so colorarlo, nè assaporarlo questo tutto. E’ come una polpa in bianco e nero. Nè rossa, nè oro. Come il disegno di qualcosa, piuttosto che la cosa stessa. Manca l’interno, manca la sostanza.
Telefono.
“Hai chiamato?”
“Si.”
“Qualche problema?”.
“No. nessuno.” Non si chiama solo per un problema, diamine.
“Perchè di solito chiami solo se ne hai”.
Infilo il colpo. E’ così, e ora, proprio ora , prorpio ora come tanti “ora” non mi va di parlare. Taglio corto:
“Infatti ti devo lasciare…”
“Ecco…”
“Ci sentiamo quando arrivo”.
“Ecco”.
“Ti voglio bene”.
“Bene?”
“Ti amo”. Sei tu, sei parte della mia vita. Ti amo. “Devo chiudere”.
“Ecco”.
 
Sono arrivata. Alla mia “deviazione”, alla mia destinazione. Il mare è leggermente agitato. Sfilo gli stivali e cammino a piedi nudi sulla sabbia. Il vento soffia pallido e mi stringo nel giubbino di pelle. Metto i capelli davanti, sulla spalla. Un ricordo lontanissimo di mare e di riva mi passa per la testa. Ricordo, finzione? Sorrido. Questo è un ricordo vivo di quelli cha hanno un preciso sapore. Io e lui abbiamo sempre saputo di mela e pera, di mango e di papaya, di frutti simili e complementari ma non ci siamo mai assaggiati davvero. Per paura di morderci e di farci male? O perchè sappiamo solo mangiarci così? Sorrido. E’ una possibilità. Paride ha saputo amare Elena perchè era Paride. Paride ha rapito Elena perchè era Paride. Ha ragione mio fratello? O è accaduto perchè Zeus ha voluto?
 
Non ci perderemo mai. Sorrido di nuovo e mi chied, mentre faccio scivolare la sabbia tra le dita, se ci siamo mai trovati veramente in fondo. Perchè ora sono vecchia, mi sento vecchia in confronto al passato e… in realtà mi va ancora di sorridere, di ridere come una bambina. E so che lo farò. So che vorrò farlo e lo farò.
La complementarietà è nella nostra capacità di sopravvivere a noi. Lo so. Alla sensazione egocentrica di non amare davvero se non noi stessi, e noi lo sappiamo più di qualsisai altro. Tu di me e io di te. Per questo io… sono la mela.
 
Sono seduta sulla riva. Butto un sasso in acqua. Non trascorrevo un momento come questo da anni; io sola sulla battigia ed il mare deserto di fronte; mare schiumoso, mare d’inverno. Sono piena di me e posso sorridere.
Le mie creature immaginarie nuotano sott’acqua e cantano. Non ho deviato la strada semplicemente. Ho dato un senso alla mia giornata, al quotidiano trascorrere. Come Paride ho rapito qualcosa, un giorno “qualunque” per respirare un pò di me. Mi sono seduta a riflettere, a ricordare, a “odorare” i miei pensieri e, senza aspettare l’onda, ho messo i piedi in acqua e ne ho bagnato le punte. Ho chiuso gli occhi, mi sono stretta di nuovo nei miei abiti Non ho bisogno della spuma. Forse Zeus ammiccherà. Ma ho già la mela in tasca e…
e…
e…
Ho già la mela in tasca e… sento il canto delle sirene in lontananza.
 
(Novembre, 2011).
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